Alchimia: Correnti Filosofiche e sua Attualità
A quale corrente filosofica appartiene l’Alchimia?
A parte le qualifiche di irrazionalità, o peggio, di superstizione, che sono state attribuite all’alchimia per conto di spiriti di parte, intransigenti ed intolleranti, e dei quali è inutile tenere conto, ed escludendo pure coloro che, non conoscendo l’alchimia, la relegano, con altrettanta superficialità, sotto la veste di un tentativo tecnicistico operato dagli antichi, è interessante sapere, invece, il parere di persone serene e appassionate sul conto dell’alchimia.
A quale corrente filosofica appartiene ? Secondo il giudizio di alcune persone essa è multiforme e di dubbio valore, ove ciascuno giudica secondo il suo particolare punto di vista, o per quello che ha potuto capire dei concetti alchimici.
Comunque, prima di abbordare i giudizi che sono stati emessi a tale riguardo, vorrei fare presente che oggi l’Alchimia risulta essere l’unico sistema filosofico valido, in quanto, filosoficamente parlando, è la sola teoria che si preoccupa di dare una concezione del mondo. Infatti si fa filosofia tutte le volte che si cerca di inquadrare e dare un senso completo alla policroma realtà che ci circonda ed in cui siamo immersi. Oggi non esiste, tanto in campo scientifico quanto in campo filosofico, un sistema che si preoccupi di avere una concezione globale del mondo, vera o falsa che sia, anzi, il concetto non viene nemmeno preso in considerazione. La parcellizzazione della scienza, che si è risolta in tante branche e sottobranche, le une avulse dalle altre, non permette a nessuna di esse di giungere a conclusioni globali.
Finché la scienza non sarà anche filosofia, ovvero, finché lo scienziato rimarrà uno specialista, confinato nel suo campo specifico di indagine e non si aprirà anche alle altre discipline, non potrà mai fare filosofia nel vero senso del termine. E quindi non riuscirà mai ad avere una visione globale che lo porti ad avere una concezione del mondo.
Si può obiettare che è impossibile, oggi, evitare la specializzazione la quale, comportando un suo linguaggio, che è diverso da linguaggi di altri campi, imporrebbe al filosofo un lavoro estremamente arduo ed improbo. Se questo è vero, è pur vero che passando al di sopra delle convenzioni specifiche di ogni branca, tralasciando le cerebralizzazioni inutili che appesantiscono ogni angolo del nostro sapere, è possibile cogliere l’essenziale di ogni disciplina, ricorrendo anche all’ausilio di quel formidabile strumento razionale che è la logica.
Sotto questo punto di vista, l’alchimia è scienza e filosofia.
Gli alchimisti dei secoli scorsi furono matematici, chimici, medici, psicologi, filologi e quindi filosofi. Furono chiamati i Filosofi della Natura, seguaci della Chimica Filosofale della Sostanza, e in questi termini è racchiusa tutta l’essenza dell’Alchimia e la sua vera portata filosofica.
Ritornando alle qualificazioni che sono state attribuite agli alchimisti, qualcuno li ha giudicati come degli immanentisti o panteisti, perché riconoscono che la Sostanza, che gli antichi Greci chiamavano “Uno”, è presente in tutta la manifestazione e ne è la sua base ontologica.
Se questo è vero, è altrettanto vero che essi cerchino di arrivare ad essa attraverso la pratica alchimica, che sfrutta gli infiniti chimismi che danno origine alla manifestazione sensibile e non. Per cui, se da un lato possano essere chiamati spinoziani, dall’altro canto possono essere catalogati tra i trascendisti, in quanto, nella loro pratica e nell’approccio con la realtà fenomenica, essi trovano un gran numero di gradini che devono essere percorsi uno per uno per giungere alla lontana meta della conoscenza.
Tenuto conto che essi tendono ad una conoscenza del sovrasensibile, o metafisica, essi sono stati considerati degli irrazionalisti, nel senso filosofico del termine, in quanto affermano che la vera conoscenza non viene dai sensi, ma da una travalicazione dei sensi medesimi.
Ma è pur vero il contrario.
Gli alchimisti postulano, nel processo conoscitivo, l’intervento di quella che essi chiamano, in termini egizi, l’Intelligenza del Cuore, solare, o diretta. Ma essa non può sorgere fintantoché l’Intelligenza Lunare, o riflessa, non sia perfettamente sgombra a tutta luce.
E l’Intelligenza Lunare è quella razionale, del cervello, che è sempre stato considerato dall’alchimismo, in modo figurativo, come il satellite dell’uomo, capace di illuminare di luce riflessa l’uomo nella ricerca della verità attraverso le tenebre dell’ignoranza. Ad essa seguirà, per evoluzione naturale, l’intelligenza solare, diretta a piena luce, che gli antichi Latini chiamavano Fides, termine oggi completamente travisato, e che è la certezza che una cosa è.
Ma prima di arrivare ad essa, devono basarsi sulla realtà che i sensi offrono, e attraverso l’affinamento progressivo della percezione, che si acquista con la pratica alchimica, giungere alla conoscenza sicura.
Quindi in ultima analisi essi sono anche dei realisti.
E siccome questo termine è stato scartato dalla filosofia moderna, a seguito della corruzione subita dalla parola da parte dei positivisti a favore dell’allocuzione materialismo, sono stati catalogati anche come materialisti dialettici.
E qui giunto, vorrei spendere qualche parola in più, dato il contesto culturale moderno in cui gli alchimisti si stanno muovendo.
Come dice Lenin, a cui si deve il termine materialista al posto di realista, quando si procede nel sistema conoscitivo in ogni tappa esistono dei limiti, ma questi stessi limiti possono essere spostati man mano che si procede nell’indagine. La stessa concezione dinamica e non statica del conoscere, che è continua acquisizione di valori nuovi, allontana sempre di più dalla concezione metafisica di limite, inteso nel senso di barriere esistente tra due mondi tra loro strutturalmente diversi: il mondo fenomenico ed il mondo noumenico, nel senso kantiano del termine.
Questa proposizione, enunciata da Lenin nel suo Materialismo ed Empiriocriticismo dovrebbe essere meditata a fondo, e si adatta al caso degli alchimisti ed al loro modo di procedere.
L’Unicità della Sostanza, o un parziale riconoscimenti di essa, si trova già nel pensiero di Engels, ove viene enunciato che il pensiero fa parte dell’essere, non costituisce, cioè, una forma o sostanza diversa da quella della natura materiale. Infatti non si potrebbe spiegare il processo conoscitivo se dovesse esserci una alterità fra essere e pensiero.
Questo assunto può dare l’avvio a due conclusioni diverse e tra loro antitetiche: la prima che riconosce il pensiero come un prodotto della materia, la seconda che vede la materia come una cristallizzazione del pensiero. Non voglio indagare per quali motivi sia stata percorsa la prima strada, che ha dato origine alla fisiologia e psicologia attuale, con tutte le conseguenze del caso, però nel pensiero di Engels si sosteneva non già la materialità del pensiero, bensì la spiritualità della materia.
È chiaro, e nessuno filosofo potrebbe smentirlo, che nel pensiero di Engels veniva accettato il materialismo, o meglio, il realismo, al solo scopo di evitare l’agnosticismo, che postula l’impossibilità da parte della nostra conoscenza di giungere a verità assolute che risultano sempre mutabili, come pure di combattere il dogmatismo.
Per quanto riguarda il modo di procedere dell’alchimista, nell’acquisizione della conoscenza possono valere, in prima istanza, i postulati engelsiani ove la dialettica, e la cosiddetta dialettica soggettiva, o pensiero dialettico, non è che il riflesso del movimento che nella natura si manifesta sempre in opposizioni. Cioè, se i pensieri sono dialetticamente legati fra di loro, anche gli oggetti della natura dovranno essere dialetticamente legati fra di loro.
Tutto questo bagaglio di idee, che ho cercato di esporre forse in modo troppo sintetico, ma credo abbastanza chiaro, senza tradire il pensiero di coloro che l’hanno concepito, può essere considerato l’origine, e per un altro verso, anche della moderna ed attuale concezione medica psicosomatica.
Ponendo a confronto dialettico mente e corpo si è trovata la loro unicità, facendo dell’essere un “Sé psicosomatico” che vive pensa ed evolve in funzione di rappresentazioni simboliche.
Anche io appartengo alla categoria degli Alchimisti, e ritengo di poter parlare anche per loro.
Come “realisti” teniamo molto, come Engels, all’unione del pensiero scientifico e filosofico, contro il pericolo di una frantumazione del patrimonio conoscitivo dell’umanità in tante conoscenze settoriali e specialistiche. Propendiamo, come vogliono i fondatori del materialismo dialettico, ad un legame aperto tra le varie culture, per lasciare piena libertà di sviluppo verso ciò che noi chiamiamo vero idealismo, nel senso in cui lo ha intravisto Lenin, secondo quanto dice nei suoi Quaderni: “L’idealismo, dal punto di vista del materialismo dialettico, è uno sviluppo di uno degli aspetti della conoscenza ad assoluto, sciolto dalla materia, dalla natura, divinizzato”.
E su questa frase, su cui si è meditato troppo poco, o niente affatto, richiamo all’attenzione dei filosofi che si proclamano marxisti.
Ma quale può essere il mezzo per poter giungere a trascendere la realtà fenomenica? Ovvero, in quale modo si può afferrare l’essenza del fenomeno stesso? Secondo gli alchimisti è il Simbolo e tale è anche per la medicina psicosomatica, ove viene ad assumere il carattere direttivo nell’analisi del fenomeno.
Possiamo osservare come il simbolo, al di là del suo significato filosofico, si sia introdotto nella società moderna in modo massivo, pilotandone lo sviluppo, rivestendo una capacità di azione al di là di ogni previsione. L’esempio più lampante, in campo sociale, è dato dalla carta di credito, che è “simbolo” per eccellenza del denaro.
Con essa non ci si trova più di fronte alla cosa in sé, al danaro, ma alla sua caratterizzazione simbolica.
Lo stesso discorso vale per le simulazioni che si operano in calcolatore elettronico, sia in campo scientifico, statistico e previsionale.
Il fenomeno, in sé e per sé, viene sottinteso, sottaciuto, pur essendo punto di riferimento principale, e in sua vece sorge la funzione simbolica, che ne adombra l’essenza.
In questo modo la ricerca della realtà simbolica dà al processo conoscitivo una accresciuta potenza di indagine, poiché permette di scoprire nessi, o per meglio dire, analogie, legami, identità apparentemente occulte tra fenomeni a prima vista estranei fra di loro come possono essere il corpo e la mente, il mondo esterno e il mondo interno, l’uomo e la natura.
Da questo processo nasce un senso di unicità ma anche di reciprocità fra i vari costituenti la manifestazione, che troveranno poi la loro conferma sperimentale, come nella Psicosomatica, ove un processo psicologico è intimamente legato all’organo, ed alle sue funzioni e disfunzioni, o come nel caso della Spagiria, ove un prodotto della natura ha la stessa signatura o caratterizzazione simbolica delle parti vitali umane.
Senza la ricerca del simbolo, che viene a rappresentare il plasma vitale che sorregge le manifestazioni, ogni ricerca rigidamente confinata nella dialettica del pensiero può risultare sterile e fallace. Ma gli alchimisti potranno essere classificati dei materialisti dialettici nel campo della sperimentazione, proprio perché colgono la realtà simbolica, o funzionale, che può legare i fenomeni tra di loro. Da quanto detto risulta che la dialettica, spinta alle sue estreme conseguenze, può portare alla scoperta del mondo del simbolo, e quindi a quella sorta di idealismo leniniano “sciolto dalla materia, dalla natura”.
Questo può senz’altro accadere, ma è anche pur vero che questo mondo dei simboli, questo substrato che di sé informa la realtà sensibile, è sempre stato appannaggio delle civiltà prelogiche che hanno descritto il mondo funzionale sotto il velame della Mitologia, ove gli Dei non hanno il significato attribuito loro dalla nostra mentalità moderna, ma sono considerati stati dell’Essere, della Sostanza, Simboli funzionali e Viventi che si incarnano, si cristallizzano nella realtà esteriore.
Questo discorso porta con sé, inevitabilmente, il concetto di una revisione critica del pensiero di tutte le antiche civiltà, ove filosofia e scienza, riunite nella Mitologia, formavano un tutt’uno, come ha postulato l’anelito di conoscenza del XX secolo.
L’Alchimia, abbandonati i vecchi clichées ormai logori, sta riportando alla luce quelle antiche verità che fanno già capolino nelle singole discipline, come per esempio nell’Egittologia, dove valenti e giovani studiosi cercano di rimuovere le pesanti limitazioni poste dalle concezioni attuali in cui quella scienza è stata costretta da una particolare visione del mondo, di tipo meccanicistico, religioso e cerebrale.
Ma questo mostra anche come l’Alchimia si dimostri filosofia universale, e, nata in età prelogica, oggi, nell’età nel razionalismo più spinto, cerchi la consacrazione, in modo che logica e prelogica, in ossequio dell’assioma secondo il quale gli estremi si toccano, si tendano la mano per la costruzione di una filosofia del futuro che ci tolga dall’impasse in cui è caduta la conoscenza umana.
Forse oggi, più ancora che in passato, l’Alchimia può rappresentare l’elemento nuovo che può unificare, in una concezione globale del mondo, tutti i frammenti portati dalle singole discipline scientifiche, i quali, considerati singolarmente, rimangono nel puro campo della cerebralizzazione, ma cementati fra di loro dalle concezioni alchimiche, possono dare una visione del mondo nello stesso tempo razionale e metafisica, ove fenomeno e noumeno vengono considerati le due facce di una medesima realtà.
Questo elemento di unificazione può essere messo in movimento, anche all’interno delle Logge Massoniche per realizzare, in questo ciclo terminale d’epoca, una riunificazione ideale sulla base dei più puri postulati Tradizionali.
Carlo Paredi
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