La famiglia è spesso considerata la pietra angolare della società. Il nido da cui spiccare il volo, la casa che ci accoglie, il posto caldo cui tornare ecc. ecc. : può sicuramente essere definita in molti modi. Pare quindi difficile sottovalutare il peso della famiglia nell’equilibrio emotivo di un essere umano.
Tuttavia tale centralità, considerata naturale e spontanea, non deriva soltanto dalle libere considerazioni dell’individuo. A livello sociale e legale vi sono precise indicazioni sull’importanza che bisogna assegnare alla famiglia. Quello che pare scontato e ovvio, nato dallo spirito genuino e dai sentimenti delle persone, forse ha una genesi diversa.
Proviamo con un esempio.
La Costituzione italiana, redatta a seguito del tracollo delle vecchie forze che si erano scontrate durante la seconda guerra mondiale, recita, su ispirazione di una delle due colonne portanti della nuova nazione a livello politico e ideologico (cattolicesimo e comunismo): “la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” (art. 29).
Qui andrebbero indagati i sottintesi impliciti nel termine “naturale”; i risultati di tale indagine non dovrebbero essere dati per scontati. Dal 1948, data dell’entrata in vigore della carta costituzionale, dovranno passare parecchi decenni perché qualche dubbio sulla famiglia e sul matrimonio come società naturale venga sollevato; com’è noto, ciò è avvenuto soprattutto a partire dagli anni Sessanta e Settanta, all’interno di un complesso fenomeno ideologico e storico che investe parecchie aree tematiche e anche geografiche.
La questione difatti non riguarda soltanto la società italiana. La famiglia costituisce il mattone basilare e irrinunciabile di ogni società ritenuta equilibrata in quasi tutte le culture note. I sociologi affermano che si tratta di una istituzione sociale praticamente universale: non importa che sia mononucleare, estesa in senso orizzontale o verticale, fondata sulla monogamia oppure no. In effetti alcuni sociologi hanno provato a scardinare l’assunto dell’universalità della famiglia così come formulato dal sociologo G. P. Murdock in Social Structure, ovvero come un gruppo sociale che prevede la presenza di due adulti che intrattengono tra di loro rapporti sessuali socialmente accettati e la presenza dei loro figli, propri o adottati. Il caso di famiglie matrifocali, molto diffuse nelle comunità nere a basso reddito negli Stati Uniti, quale che sia l’origine (da alcuni collegata al periodo della schiavitù), secondo alcuni sarebbe l’eccezione alla regola dell’universalità, ma in effetti si tratta più che altro di un pregiudizio sessista, secondo il quale senza un capofamiglia maschio la famiglia non sussiste come tale. Dunque anche i nuclei matrifocali non sono che una variante della famiglia (oggi tali riflessioni si potrebbero estendere in altro modo, ma non è di interesse in questo contesto).
Perché la famiglia è così importante? Secondo la prospettiva di Murdock, che ha analizzato circa 250 tipi di società, la famiglia è universale perché risponde a quattro bisogni fondamentali dell’individuo in maniera efficace e funzionale per il mantenimento del sistema sociale: bisogno sessuale, riproduttivo, economico ed educativo. Questo non significa che non assolva ad altre funzioni: ma queste sono quelle fondamentali, i prerequisiti senza i quali la società non potrebbe esistere, e da questo punto di vista la famiglia non ha pari nella capacità di assolvere a queste funzioni. All’interno della famiglia i rapporti sessuali sono codificati e regolati; da qui l’importanza moralistica e sociale dell’istituzione matrimoniale, severamente codificata in molte società ancora oggi (ecco perché le signorine delle famiglie perbene si sposavano il prima possibile, togliendosi dall’equivoca libertà sessuale): ciò si traduce in un controllo e in molti casi anche in una repressione regolata dell’istinto sessuale, potenzialmente distruttivo/libertario, a seconda dei casi. L’uomo primitivo viveva probabilmente in orde promiscue, secondo l’antropologa K. Gough, e la famiglia nucleare monogamica nasce con l’emergere della proprietà privata e l’avvento dello Stato, come afferma il filone della sociologia marxista; ma è possibile osservare che anche il libertinaggio sfrenato rappresenta un polo di controllo del meccanismo sociale, lungi dal potersi identificare tout court con la libertà dell’individuo.
Talcott Parsons ha esaminato più in profondità le funzioni fondamentali della famiglia, soffermandosi sull’aspetto della socializzazione: la famiglia è responsabile della socializzazione primaria dei bambini e della stabilizzazione della personalità adulta. Questo è ancora più rilevante in tempi di famiglie nucleari. La famiglia consente di interiorizzare i valori della società di appartenenza, che inculca nei bambini, plasmandone la personalità e permettendo in un secondo tempo l’integrazione in essa. Una volta prodotta la personalità deve infatti potersi stabilizzare, e l’adulto della famiglia nucleare scarica i propri impulsi infantili, non più accettati a livello sociale, nel gioco con i figli.
Queste analisi sono state tacciate da alcuni sociologi di idealismo astratto, poiché accentua l’armonia all’interno del nucleo familiare. Altri studiosi hanno infatti messo in luce che la famiglia nella moderna società industriale rischia spesso di collassare su se stessa, poiché estremamente atomizzata: in una società altamente alienata, in cui si fa fatica a socializzare, i membri della famiglia si appoggiano troppo l’uno sull’altro, portando a ostilità e ribellioni. Secondo l’antropologo E. Leach bisognerebbe uscire dalla prospettiva chiusa e quasi ghettizzante della famiglia, e incontrarsi gli uni con gli altri.
Sulla scia di osservazioni simili, sono nati dei filoni di pensiero che analizzano la famiglia in una prospettiva differente. Nell’articolo The Emotionally Disturbed Child as the Family Scapegoat, E. F. Vogel e N. W. Bell analizzano alcuni casi della società americana in cui vive un bambino emotivamente disturbato, giungendo alla conclusione che ciò derivi dalla proiezione delle tensioni dei genitori su di esso. Ciò che è disfunzionale per il bambino è dunque funzionale alla famiglia, e in ultimo alla società (tutto ciò evoca alcune osservazioni nicciane sull’individuo e la società, non a caso ritenuto disagiato mentale).
La famiglia può dunque essere disfunzionale?
Questo è il tema principale di R. D. Laing, precursore e ispiratore, assieme a D. Cooper, dell’antipsichiatria. I suoi studi su pazienti schizofrenici si soffermano sulla rete di relazioni esistenti all’interno del nucleo familiare, mostrando che i comportamenti dello schizofrenico, considerati folli se visti dal di fuori, si rivelano sensate e ragionevoli all’interno della famiglia di provenienza. Sulla scia di Freud, Laing afferma che non c’è differenza di sostanza ma solo di grado tra normale e anormale; dunque studiando le famiglie anormali, con membri che manifestano patologie psichiatriche, è possibile comprendere il funzionamento della famiglia in generale. Laing si sofferma sul sistema di interazioni che ha luogo in una famiglia, mostrando, sotto il velo da mulino bianco delle intenzioni e delle affermazioni superficiali, un complesso gioco tattico dall’aspetto utilitaristico, con esiti spesso dannosi e distruttivi. Ogni membro della famiglia è interessato a ciò che l’altro fa o pensa, pone continue richieste di attenzione e interesse, stringendo eventualmente tacite alleanze con altri membri della famiglia: ciò porta a un estremo livello di tensione, che dovrà necessariamente essere scaricato, e spesso ciò avviene alle spese di un membro più sensibile o vulnerabile. Da qui è semplice comprendere perché Laing abbia fornito un valido supporto all’idea che la follia psichiatrica molto spesso non sia tanto la tara genetica o comportamentale di un singolo individuo, quanto l’effetto nefasto dell’interiorizzazione di certi “programmi”, quelli familiari.
Così scrive Laing: “io ritengo che la maggior parte degli adulti (me incluso) in misura più o meno sensibile, si trovano, o si sono trovati, in una condizione di stato ipnotico, indotta fin dalla prima infanzia”.
La famiglia rappresenta la programmazione della mente dell’individuo: programmazione funzionale per la famiglia, ma spesso disfunzionale per l’individuo, e non di rado anche per la società, ormai polverizzata in una lotta continua tra i propri componenti, poiché fuori dalla famiglia vengono proiettate le angosce più profonde, erigendo una barriera tra quelli “simili a noi” e tutti gli altri. Il modello di obbedienza alla famiglia diviene anche il modello d’obbedienza all’autorità: Laing sottintende che senza l’abitudine dell’obbedienza alla famiglia, le persone forse avrebbero un certo equilibrio emotivo, maggiore intimità con la propria capacità di giudizio e dunque la capacità di valutare ed eventualmente ribellarsi agli ordini (questione fondamentale, come hanno mostrato vari esperimenti psicologici e sociali nel Novecento, da Milgram a Zimbardo).
Quella descritta da Laing è sostanzialmente una società malata, modellata da dinamiche familiari oscure e oppressive. Nonostante ciò, Laing è ancora ottimista e confida che facendo luce su tali dinamiche, la famiglia possa comunque restare un’importante istituzione per la società. D. Cooper trae invece conseguenze radicali da simili osservazioni, come è evidente dall’opera The Death of Family, e condanna senza mezzi termini la famiglia, che reputa invalidante e fagocitante: per poter sviluppare una personalità sana e autonoma, l’individuo dovrebbe liberarsi dall’amore ambiguo e imprigionante della famiglia. Viceversa, la sua personalità sarà sempre e soltanto una interiorizzazione di membri della famiglia e delle loro richieste: è come se egli avesse incollato dentro di sé dei pezzi di altri, assassinando il proprio sé. Il dramma, ripete Cooper, è che la maggior parte delle persone vive proprio in queste condizioni: nessuno (o quasi) è reale, siamo tutti clonati l’uno sull’altro. Su linee di pensiero marxiste, Cooper afferma che la famiglia, lungi dall’essere l’idilliaco paradiso di Parsons, è un potente mezzo di condizionamento ideologico in una società di sfruttamento. La famiglia produce soldatini pronti a lavorare e obbedire, timidi, paurosi, emotivamente instabili. Un elaborato sistema di tabù, socializzato e interiorizzato in famiglia, crea le basi del conformismo e della sottomissione.
Sulla follia come spia di ciò che è stato nascosto e occultato a partire dalla illuminista e razionale società moderna non è possibile esimersi dal citare la Storia della follia di M. Foucalt, che a pieno titolo potrebbe rientrare tra quelli che P. Ricoeur ha chiamato i maestri del sospetto: Marx, Nietzsche e Freud. Sospettare significa dubitare che le cose stiano così come ci vengono raccontate: significa inseguire la voce emarginata dalla nostra coscienza giudicante, studiare la genesi occulta delle cose, e non aver paura che all’improvviso il terreno ci crolli sotto i piedi. Marx si è reso conto che la stratificazione sociale e la ricchezza non erano quello che pensavamo; Nietzsche ha scardinato ogni morale servile e ogni vana credenza teologica; Freud ha messo in dubbio la cosa pià pericolosa, la nostra stessa mente, la consapevolezza di ciò che siamo e pensiamo di essere. Chiaramente accanto a questi tre grandi maestri, molti altri potrebbero essere citati.
I padri dell’antipsichiatria hanno invitato l’uomo a riflettere sulle proprie dinamiche emotive, in relazione a ciò che di più caro egli pensa di avere: la propria famiglia. L’antipsichiatria è poi divenuta movimento politico e sociale, focalizzandosi per un verso sulla lotta al capitalismo come sistema discriminante e per un altro sulle critiche ai trattamenti farmacologici e ai nosocomi psichiatrici (non sempre i due filoni si incontrano, come mostra l’esempio britannico).
Senza soffermarci sui percorsi storici e teorici di questa variegata e complessa realtà, ci interessa qui comprendere quanto può ancora oggi servirci della loro lezione.
Come Marx, Freud, e Nietzsche, Laing e Cooper ci suggeriscono di considerare le nostre emozioni e la nostra salute mentale all’interno del più ampio raggio delle nostre relazioni. Oggi in Italia, grazie a Franco Basaglia, i manicomi non esistono più e il disagio mentale viene curato in altro modo; ma a prescindere delle valutazioni personali su questa battaglia storica, il disagio mentale è stato senz’altro relegato al privato. Il nesso tra società e follia è stato troncato. Sei depresso? Ti sembra che il mondo attorno a te ti opprima e che sia tutto terribilmente sbagliato? Che il tuo lavoro sia un concentrato di follia e la tua famiglia un insieme di individui egoisti e nevrotici? Oddio, non puoi essere davvero così cattivo e ingrato, prendi un poco di zucchero e una pillolina, e tutto tornerà a posto, oppure cerca di sfogarti in qualche modo L’importante è che non venga messo in discussione il paradigma dominante: la società, il lavoro, la religione, la famiglia. Il problema è tuo, non il nostro. Da questo punto di vista è sicuramente possibile affermare che l’antipsichiatria in questo senso è stata normalizzata e digerita al fine di neutralizzarla, come tutti i grandi slanci di pensieri della storia.
I tabù non sono caduti, sono stati soltanto spostati. La repessione, le camicie di forza, il TSO è diventato la tua stessa mente; non è un caso che i casi di depressione siano in netto aumento a livello mondiale. La società e la famiglia non sono cambiate: sono cambiati i meccanismi di costruzione dell’identità, ovvero come te la raccontano; sono state cambiate le etichette, ma molte cose restano ancora oggi indicibili, pena la squalifica e la discriminazione sociale, e non sono quelle per cui vengono allestite campagne pubblicitarie, gruppi facebook e raccolte fondi.
Che siate schizofrenici e geniali, oppure soltanto tristi e “normali”, in ogni caso secondo l’antipsichiatria i vostri “programmi derivano” dalla vostra famiglia. Quel pensiero ossessivo sul cibo o sulla pulizia; il senso di colpa per certe trascuratezze; l’angoscia per il futuro; la paura di incontrare gli estranei; persino quel certo modo di gesticolare. E chi più ne ha più ne metta. La famiglia è il tramite attraverso il quale la società ci piega, privandoci di noi stessi. Questa potrà sembrare forse una svolta troppo pessimista della discussione; ma non c’è una visione ottimista o pessimista: c’è solo la visione chiara di quanto accade. Possiamo scegliere se essere consapevoli delle dinamiche che ci dominano, oppure no. Possiamo scegliere se usare quello che alcune tradizioni chiamano il dominio femminile, il si dice-si fa di heideggeriana memoria a nostro vantaggio oppure no. Possiamo scegliere se usarlo per ambientarci nella società e diventare invisibili ad essa, surfandoci dentro, oppure possiamo scegliere di restarci invischiati dentro e annegare, strangolati come pesci nella rete. Diventa tutta una questione di scelta; ma non c’è scelta reale senza conoscenza. Per poter scegliere, devo portare a galla tutto ciò che vorrebbe restare nel buio; ciò che ti hanno insegnato che non è possibile dire alla luce del sole. In Matrix, Neo scopre il grande segreto che non è possibile dire, che tutti sono schiavi; con Laing e Cooper l’uomo scopre che la tana sicura in realtà è quella del predatore che ti vampirizza, possedendo tutto ciò che credi ti sia caro.
La questione dell’antipsichiatria non si riduce a una questione dal valore puramente psicologico o al massimo politico-sociale: difatti lo stesso Laing riconobbe ampiamente i debiti del suo pensiero verso la filosofia fenomenologica ed esistenzialista. Si tratta di qualcosa di più profondo: si tratta di conoscere quello che siamo. E per scoprire ciò che siamo, bisogna attraversare tutto ciò che non siamo, nel riflesso degli occhi degli altri, chiunque essi siano.
Articolo scritto da: Valentina C.
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